La Licata, F. (2008). "Aspiranti giudici con precedenti in grammatica". http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200801articoli/29025girata.asp [visitato: 07.08.2008].
Quando si parla di magistrati, per riflesso condizionato, vengono alla mente esempi di grande saggezza, di buona cultura umanistica. Insomma il giudice colto che nelle sentenze riversa il suo sapere e non soltanto quello che riguarda i codici. Ma se andiamo a leggere le notizie sull’ultimo concorso per entrare in magistratura si avverte forse la necessità di rivedere quel tipo di automatismo. Prendiamo, ad esempio, l’uso del latino che nelle aule di giustizia da sempre costituisce elemento fondamentale della dialettica forense. Sarà per colpa del declino della scuola, ma sembra proprio che non tutti gli aspiranti giudici siano in grado di padroneggiare la vecchia lingua.
Questa, e tante altre «sorprese» ancor meno edificanti, trapelano da un gossip maturato a conclusione del concorso di novembre che ha fatto registrare il record di domande (43 mila) e di candidati giunti alla consegna della prova scritta (quattromila) per 380 posti da coprire. A fronte di tanta affluenza, però, non è stato possibile registrare altrettanta ricchezza di promozioni: a essere immessi nei ruoli della magistratura sono stati 322 «esordienti», 58 in meno di quelli che servivano.
Ma non è questo l’aspetto sconcertante della storia. Il fatto clamoroso è che tutti quelli che si sono persi per strada sono caduti per eccesso di ignoranza, tanto evidente e irreparabile da aver indotto la commissione ad andar giù pesante. Torniamo al latino: si può far finta di nulla di fronte a un candidato che stravolge il fondamento del «Nulla poena sine lege» col più disinvolto «Nullum pene sine lege»? Come spiegare agli esaminandi che il latino è difficilmente conciliabile con lo slang asfittico dei messaggini telefonici? Immaginiamo, dunque, lo stupore dei commissari nel leggere la parola «veperata», scritta da una candidata. C’è voluto più di qualche minuto per intuire che la ragazza voleva scrivere «vexata» e che era stata tradita da quella x che nel linguaggio dei cellulari è l’abbreviazione di «per».
Ci sono stati candidati che hanno scritto i due temi interamente con le abbreviazioni «cellularesche»: immaginiamo cosa possa essersi appalesato agli occhi della commissione, costretta a smorfiare un «cmq» che si traduce con «comunque». Per non parlare della punteggiatura. Intere pagine senza una virgola e senza un punto, ma anche senza la forza di un Joyce. Al contrario, c’è stato chi ha frammentato le singole frasi, anche soggetto e predicato, a colpi di virgole, punti e punti e virgola, come Totò e Peppino nella «Malafemmina». E non mancano i furbi. Per sopperire all’assoluta ignoranza sulla sillabazione, molti hanno accorciato il rigo per sfuggire alla necessità di andare a capo, magari sbagliando.
Nessuno dei commissari confesserà mai tutto ciò che sono stati costretti a leggere, ma il gossip - in funzione da quasi tre mesi, con tanto di attacco alla commissione su un blog allestito dai candidati respinti - fa trapelare l’entità di un altro poco invidiabile record di questo concorso: una raccolta di circa dodici pagine di strafalcioni. Numerosissimi gli «essere» e gli «avere» senza accento e senza l’acca, l’«un» apostrofato ed anche «qual». C’è anche un «riscuotere» con la “q”. Un livello che ha indotto il giudice di Corte d’Appello, Matteo Frasca, commissario d’esami, a intervenire sul sito del Movimento per la Giustizia, per un bilancio della sua esperienza. Da un lato, spiega il magistrato, i numeri venuti fuori dal concorso «rappresentano una conferma di una persistente serietà nella selezione». «Dall’altro lato - riprende - creano non poche perplessità sul livello medio di preparazione dei partecipanti». Inutile tentare di ottenere conferme alle indiscrezioni: se è vero, per esempio, che qualcuno ha confuso la Corte dell’Aja con la «Corte dell’Aiax», e se c’è stato chi ha provato ad «addolcire» i temi di diritto amministrativo e penale con incipit, diciamo, poetici, del tipo «Finché la barca va» o «Per fare un albero ci vuole un fiore».
«Degli errori singoli - replica il giudice Frasca - non parlo. L’intervento che ho scritto per il “Movimento” non aveva certo lo scopo di provocare uno scandalo fine a se stesso o soltanto delle battute umoristiche». E allora? «E’ il complesso della vicenda - risponde il magistrato - che desta preoccupazione. Certo ho scritto per inciso che mi astenevo dal riportare “indicibili citazioni che pongono seri dubbi sulle modalità di conseguimento del diploma di scuola media inferiore di alcuni candidati”. Ma il nodo del discorso è un altro: riguarda le difficoltà sempre maggiori che incontriamo nel riempire i vuoti di organico, riguarda per esempio l’età di accesso alla professione che è ormai stabilizzata sopra i trent’anni. E questo perché l’Università è più lunga e i concorsi sono lenti. Il basso numero di vincitori mi fa intravedere un pericolo nell’immediato: la tentazione al ricorso ai reclutamenti straordinari o all’immissione per titoli. Il concorso è stato sempre duro, ma ha rappresentato garanzia di qualità del personale della magistratura».